Sembrava calato il silenzio sull’ipotesi di riconversione dell’area ex Liquichimica di Saline Ioniche a seguito la decisione della Sei di fermare il processo autorizzativo in atto presso il Ministero delle Attività Produttive, dopo il primo incontro della conferenza di servizi che doveva decidere sulla bontà del progetto della centrale a carbone. Dalla stampa locale abbiamo appreso in questi giorni che sull’area industriale di Saline è in corso una trattativa portata avanti dall’Api nova energia, società controllata da una holding petrolifera di livello nazionale, che sarebbe disposta ad intervenire sul sito delle ex Officine Grandi Riparazioni e sulla stessa Liquichimica. Il progetto si baserebbe sostanzialmente sulla produzione di energia (pari a circa 50 MW) con un progetto sviluppato sulla tecnologia “concentrated solar power”. Tale tecnologia consente di produrre quantità significative di elettricità utilizzando solo la parte di energia proveniente direttamente dal disco solare,utilizzando un sistema di specchi che attirano i raggi solari. Ad oggi tali impianti sono concentrati nel Nord Africa e in Medio Oriente; in America, l’unico impianto termoelettrico solare è situato nel deserto del Mojave, in California. Il gruppo Api,anche se le notizie che trapelano sono scarse, per intervenire a Saline dovrebbe utilizzare parte delle risorse da fondi regionali (APQ Energia) e in parte utilizzerebbe capitali propri. L’aspetto che lascia maggiormente perplessi in questa fase è la modalità utilizzata per portare avanti la trattativa per l’acquisizione e la relativa riqualificazione delle aree della zona industriale di Saline da parte di API. Se la SEI aveva attuato una politica di comunicazione fin troppo incisiva, l’Api nova energia, sta lavorando sotto traccia,in silenzio e non coinvolgendo tutti gli attori economici e sindacali che hanno un qualsiasi ruolo nello sviluppo dell’area del basso ionio reggino, e sembra quasi che si stia scegliendo personalmente gli interlocutori con cui trattare. E se contro la SEI c’è stato un battaglione di fuoco che ha gridato un no basato secondo me più su basi ideologiche che dopo aver approfondito e studiato la reale portata del progetto, oggi il silenzio degli ecologisti e degli ambientalisti sul progetto di Api è assordante e imbarazzante. Infatti senza entrare nel merito di quella che oggi parrebbe solo una idea da sviluppare, per come si presenta, (una concentrazione di specchi per ettari interi all’interno delle OGR e dell’area ex Liquichimica), tale iniziativa cozzerebbe sulla tanto sbandierata vocazione turistica che si vorrebbe dare all’area del pantano o alla zona industriale del nostro comune. E i 50 milioni della Provincia di Reggio e della Regione Calabria per fare di Saline la Taormina calabrese? Certo,la Madonna di Fatima può fare molti miracoli con la sua infinità bontà, ma non possiamo esprimere auspici e preghiere tra di loro contraddittori. Delle due l’una; o crediamo nel progetto turistico per Saline e per l’intera area grecanica, o filtriamo con i “petrolieri” per riattivare quel sogno industriale miseramente naufragato negli anni 70. E se questa sembra essere l’unica alternativa, mi chiedo perché è stato riservato alla SEI questo trattamento? Perché nessuno ha ascoltato le ragioni della SEI giuste o sbagliate che fossero, tenendo conto che questi imprenditori avrebbero rischiato capitali propri e non statali? E il non averli ricevuti ed ascoltati, ha forse precluso a Saline una opportunità di crescita e di sviluppo che non necessariamente passava dal carbone? Bisognava sbarrare la strada agli svizzeri perchè già qualcuno sapeva che era dietro l’angolo l’alternativa energetica? Da spettatore disinteressato registro un diverso trattamento di due idee progettuali che partendo forse da presupposti industriali differenti, arrivano allo stesso scopo;una produzione di energia che la Calabria, avendo un esubero di produzione energetica, dovrebbe esportare in altre Regioni d’Italia con maggiori assorbimenti. Sono tutte domande che temo rimarranno senza risposte, ma credo che il futuro dell’area industriale di Saline non possa essere deciso nel chiuso di una stanza e soprattutto senza ascoltare le istanze che provengono dalla società civile ed economica del comprensorio.
Paolo Roberto Mallamaci